MUSEO GIUSEPPE GORNI

NUVOLATO di QUISTELLO 

ALLA SCOPERTA DI GIUSEPPE GORNI 

INTERPRETE DIMENTICATO DELL’ARTE DEL ‘900

Museo Esterno 1

Una scuola elementare. È ciò che si pone davanti ai nostri occhi, ed immediatamente comprendiamo che è questa stessa struttura che, resa museo, accoglie le opere del Gorni che fanno parte della collezione dell’omonima Fondazione. La Scuola stessa è una delle sue opere d’arte meglio riuscite: un progetto per la Primaria in arti grafiche. L’edificio, che comprende piano terra e primo piano, presenta una pianta semplice. La decorazione dei mattoni a vista si arricchisce con particolari elementi architettonici ed ornamentali che saltano subito all’occhio, come gli alveoli presenti sul cornicione decorati con graffiti a colori o come i bassorilievi che arricchiscono la parte inferiore delle porte lignee d’ingresso.

Varcata la soglia saliamo alcuni gradini e percorriamo un breve corridoio in cui è possibile vedere esposte alcune xilografie dai soggetti tipici della vita in campagna: contadini e buoi al lavoro sui campi, dove uomo, animale e territorio si uniscono in un’unica identità che lavora e produce assieme.

Ad accoglierci nell’atrio dell’edificio c’è un volontario che, con grande interesse e calore, ci porta lungo gli spazi espositivi, consigliandoci la visione delle stanze a partire dal primo piano, optando così per un percorso guidato delle opere in ordine cronologico.

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La storia di Giuseppe Gorni è davvero da romanzo. Figlio di Arcinio, agricoltore, e di Iole Longhini, nacque a Santa Lucia, frazione di Quistello nel Mantovano, il 27 marzo 1894. Come potrete immaginare non si trattava certo di una famiglia agiata. Erano mezzadri e faticarono quando dovettero iscrivere il nostro Giuseppe all’Università di Bologna. Prima frequentò l’Istituto Tecnico Pier Crescenzi fino al 1913 e si iscrisse poi alla facoltà veterinaria presso la locale Università.

Al centro della sala, in una teca di vetro, sono raccolti i taccuini personali dell’artista. Una serie di annotazioni sulla vita e sulla morte, di disegni abbozzati e di altri compiuti. Pagine e pagine che risalgono al periodo della Prima Guerra Mondiale in cui fu chiamato alle armi. Il 3 giugno 1916, catturato sul monte Cencio con il 1° reggimento granatieri a cui era stato aggregato, venne internato prima nel campo di Duna-Szerdahely poi in quello di Hajmasker, entrambi in Ungheria. Quando lo internarono scoppiò in lui l’esigenza di esprimersi, così iniziò a dedicarsi alla pittura e alla scultura. Questo è quello che lui stesso ha scritto nel suo testo Brevi note sulla mia vita: “nella lontananza, nella solitudine, nel dolore nacquero tutti i miei disegni di prigionia”.

Tra i disegni visti dopo la teca dei taccuini, incontriamo delle opere su carta e cartone che mostrano quelli che poi sarebbero stati i soggetti tipici del Gorni: donne con abiti modesti e tradizionali, prive di volto e dettagli, realizzate con un tratto deciso e pesante quasi fossero delle sculture o elementi architettonici; contadini al lavoro, quasi simili ai manichini di De Chirico, e donne incinte o con bambini a sottolineare l’interesse di Gorni verso la tematica della maternità.

Anche quando l’opera strizza l’occhio ai classici della letteratura, è la campagna ad essere il punto fondamentale su cui l’artista indirizza le sue ricerche. Non un caso, infatti, che abbia realizzato dieci incisioni dedicate a “Le Georgiche” di Virgilio, in occasione delle celebrazioni del bimillenario del poeta di Andes.

Stanza 1 f

Nel mentre Gorni è stato prigioniero di guerra, è tornato a Quistello e ha realizzato la scuola dove sono custodite le sue opere, ma il suo ritorno è stato molto breve in quanto si allontanò per raggiungere la Francia, visti anche i suoi ideali politici: era comunista. Così anche lui ebbe il suo pellegrinaggio parigino e nel 1923 fu ospite per alcuni mesi di Severo Pozzati, suo primo insegnante di scultura e ormai apprezzato cartellonista. Condusse lì una vita solitaria e per guadagnare realizzò disegni per giornali di sinistra – L’HumanitéL’ère nouvelleLe Populaire – ma ben presto dovette tornare in Italia, nonostante le esortazioni di Massimo Campigli a rimanere a Parigi.

E nella città della Tour Eiffel si lasciò ispirare dai fermenti artistici e culturali che lo circondavano. Alcune sue opere, infatti, riportano visibilmente l’influenza di Picasso, Cezanne, Millet, e, sopra tutti, riecheggiano il tratto e i soggetti di Van Gogh. Tra le xilografie dedicate alle Georgiche, ci sono molteplici somiglianze tra “La Semina” di Giuseppe Gorni e l’omonimo dipinto di Millet, mentre “Vecchio seduto ad un tavolo” del 1928 riprende lo stesso soggetto di uno dei disegni di Van Gogh mettendolo nella posa de “Il Pensatore” di Auguste Rodin.

Una volta a Quistello partecipò, nel clima acceso di quegli anni, alle più significative manifestazioni artistiche dell’avanguardia mantovana che, nonostante fosse piuttosto disorganizzata, aveva come tema comune il bisogno di opporsi alla tradizione tipicamente provinciale. Sembra strano dirlo, ma pare che Gorni non fu in grado di trovare il necessario consenso per spiccare il volo. Solo il giornalista e critico Giuseppe Guerra, in occasione di una mostra secessionista organizzata nel Palazzo Ducale di Mantova nel 1923, ne appoggiò apertamente l’operato. L’incomprensione generata dalle sue opere e la sua avversione al fascismo lo spinsero a rinchiudersi nel silenzio della propria terra di Quistello per dedicarsi allo studio dal vero.

Scendiamo di un piano e raggiungiamo il cuore pulsante dell’arte di Gorni: le sale della scultura. Ad attenderci una serie di statue dove i soggetti tipici dei disegni vengono trasposti in argilla del Po e bronzo. Nella prima sala, che raccoglie l’operato che va dagli anni ’30 agli anni ’50, vediamo subito che l’interesse di Gorni nella scultura è riposto interamente sulla ricerca della materia e della plasticità piuttosto che della resa realistica del soggetto. Leggendo il suo diario intitolato “Brevi note sulla mia vita” si scopre che l’artista tentò: “di unire la scultura con oggetti veri tanto da ottenere composizioni di immediata e facile comprensione, in modo che l’opera così concepita appartenesse ad un vasto pubblico e non fosse ristretta come sempre a pochi.” Proprio da queste parole si legge tutto l’intento comunista nell’operare di Gorni.

I soggetti di questa sala, esprimono un disagio esistenziale legato alla fatica del lavoro ed alla povertà esprimendo la stessa sensibilità che ebbe, in tempi differenti, il pittore Van Gogh in merito alle classi meno agiate. Per questo non è difficile vedere un parallelo tra il disegno dell’olandese intitolato “Contadina che pulisce la pentola” e la scultura di Gorni intitolata “Donna che impasta il margine”.

Prima di lasciare la sala si rimane colpiti da un’altra connessione tra Millet e Gorni. Una connessione che fa entrare nel gioco dell’arte anche Dalì, con uno dei soggetti che furono una sorta di ossessione per il catalano: “L’Angelus”. L’artista di Quistello lo reinterpreta in maniera materica togliendolo dalla tela e trasportandolo nella realtà grazie all’utilizzo della terra secca e avvicinandolo al pubblico locale con un titolo che racchiude tutta la tradizione delle donne di campagna, ovvero “Confidenze”.

Nel 1940, all’entrata in guerra dell’Italia, Gorni fu richiamato alle armi. Dal fronte francese venne inviato a quello iugoslavo e quindi a quello russo, dove rimase dal 9 luglio 1941 al 1° maggio 1943. Ritornato a casa dalla Russia, dopo l’8 settembre il Gorni si dette poi alla macchia per non prestare servizio militare al fianco dei nazifascisti. Riuscì a fuggire in Svizzera, dove fu internato in un campo militare dal 25 sett. 1943 al 3 luglio 1945. Questa esperienza lascerà un segno indelebile nel modo di fare arte di Gorni tant’è che le sue maternità diventano cave e così ne parla lo stesso artista nel suo diario: “La figura, che sempre avevo prediletto, totale, volumetrica, piena, pesante, mi portava […] alla rottura delle superfici, allo svuotamento, ad equilibri […] fra vuoto e pieno […]. I soggetti non potevano riguardare se non la guerra […]. In principio la soluzione la trovavo nel panneggiamento delle vesti, poi i vuoti, pur rispettando il soggetto, furono più estesi fino a predominare sul pieno. Infine la figura divenne astratta, pur conservando la essenzialità del soggetto”.

Ritornato in Italia venne nominato sindaco di Quistello, carica che dovette abbandonare quasi subito perché incompatibile con l’insegnamento nella scuola media dello stesso paese. Nel 1953 si trasferì a Cinisello Balsamo, presso Milano, per dirigere l’ufficio tecnico del Comune fino al 1961; in quel periodo la sua produzione artistica si arrestò e solo nel 1962 il Gorni riprese a disegnare e modellare Morì a Domodossola il 6 agosto 1975.

E del suo ultimo periodo sono le opere che si trovano nella sala conclusiva del Museo. Una sala dove le sculture di maternità ritrovano il loro ventre florido come quello di “Nudo di ragazza”, realizzato nel 1965, che sembrano riprendere le Pomone del Marini degli anni ’40. Non è un caso che questo soggetto venga scolpito da Gorni proprio mentre l’Italia, ed in particolare il territorio mantovano, stava vivendo la sua rinascita dato che la Pomona anticamente era la dea etrusca della fertilità.

A salutarci, quasi fossero state le sue mani nodose che venivano fuori direttamente dal terreno, ci sono le sue statue dedicate agli alberi di Gelso che, ferme ed imponenti, rimangono a ricordare di un uomo che ha trasformato tutto quello che aveva a che fare con il lavoro contadino in uno dei più toccanti soggetti dell’Arte Contemporanea.

Museo Diffuso Giuseppe Gorni di Nuvolato (Via Europa 58). Orario: GIOVEDÌ dalle ore 9.00 alle ore 12.00 – SABATO dalle ore 15.00 alle ore 18.00 – DOMENICA dalle ore 15.00 alle ore 18.00

Prenotazioni visite guidate per gruppi anche in altri giorni telefonare al Comune di Quistello – Ufficio Cultura tel. 0376.627241 Oppure 346.0826184/347.0651260

© Pagina a cura dott.ssa Elena Bello e dott. Mendes Biondo

(Foto: Web, Elena Bello & Mendes Biondo, Catalogo)