GIANCARLA CAVALLINI

Sono nata a Pegognaga il 6 maggio del 1942, dove tutt’ora vivo e sono sposata da quasi cinquantanove anni. Le mie origini sono contadine, ma ho la passione della lettura e mi piace scrivere brevi racconti e poesie. Ho fatto la comparsa nelle sfilate dei Gonzaga nel mio paese, impersonando la contadina povera, la filanda col filarino e la rocca in mano. Ad Abano Terme ho fatto la parte della Balia con tanto di costume, tenendo in braccio il principino primogenito dei Signori di Gonzaga (sembrava un bambino ma era di gomma.

Dal 2015 faccio parte del Cenacolo dialettale mantovano “Al Fogolèr” e con tanta passione e amore scrivo poesie e recito con i colleghi del gruppo. Assieme ad altre volontarie ho frequentato anche un corso, i cui docenti erano Medici e Infermiere, per poter entrare nelle Case di Riposo a portare sorrisi e buon umore. Quando leggevo racconti o poesie agli ospiti delle strutture, gli facevo riassaporare momenti del loro passato, della loro gioventù, quando erano felici e, il vederli così gioiosi, rinfrancava anche il mio animo. La pandemia, purtroppo ha fermato anche questa mia attività di volontariato. Spero che passi presto per poter tornare a donare felicità e carezze.

Giancarla non ha ancora pubblicato un suo libro, ma alcune sue poesie sono state inserite nelle pubblicazioni del Cenacolo.

I componimenti di Giancarla nascono dal sentimento e dal rapporto indissolubile che lo lega alle tradizioni e alla civiltà contadina. Non cerca né rima né metrica ma usa il verso libero, che le permette di inserire vocaboli dialettali genuini e incisivi senza alcun vincolo schematico. Sa cogliere e riprodurre sulla carta certe sfumature che ne arricchiscono la qualità del linguaggio, mantenendo, al tempo stesso, l’autocontrollo della sintesi.

Al laghet ad San Lurens

I pütlet i cor par i senter in sla riva,
i pascadur i pesca cun la şdarina,
i gòp i salta in l’aqua e i cor via.
Dü spuşin fresch i fó li fòto
töti bèi cuntent sura’l barcun
in sal laghet ch’a pias a töti.
Do cöbie un pò men şùan
i şöga a bréscula.
In luntanansa un udurin
ad càran ai fèr,
an gröp al fó fèsta
par li nòsi d’òr.
Dü muruşin brancà par man
i vó vèrs li röşi
e al sàlas ch’a pians al fó da òra.
I uşlin i canta
in sli fröschi di piòp
par far cunpagnìa a chi
camina e a chi cor.
Un laghet acsé agh l’om
sul nuàntar
e l’è al nòstar lagh ad i insoni.
Gnì töti a Pigugnaga!


San Martin ad na vòlta

Un caret cun li gradi,
tri fasin ad vida
un vèc tuler, un cardansin
cun la ciaf ch’a spingulava.
Un màgar sumarin
ch’al tirava na tàula culgada
cun li gambi in sö
ch’li guardava al sul che ògni tant
as lugava in mèş al nìul.
La nòna santada in sla scragnina
la tgnea strech la sö spurtina,
cun al fasultin in man la salüdava
e cun i òc la pianşea.
Quàtar galini in gabia
e al gal ch’a cantava.
Pòca ròba e tant laurà:
quel l’era al San Martin di nòstar vèc.

San Martino di un tempo

Un carretto con le grate, / tre fascine di legna di vite / una vecchia madia, una piccola credenza / con la chiave penzoloni. / Un magro somarello / che tirava una tavola coricata / con le gambe all’insù / che guardavano il sole / a nascondersi in mezzo alle nuvole. / La nonna seduta sul seggiolino / teneva stretta la sua sporta, / col fazzoletto in mano salutava / e con gli occhi piangeva. / Quattro galline in gabbia / e il gallo che cantava. / Poche cose e tanto lavoro: / quello era il San Martino dei nostri nonni.