Dal 18 febbraio al 3 marzo tripersonale con gli artisti Arturo Bosetti, Paola D’Antuono e Stefano Polastri alla galleria Mantova Arte Design (MAD) di Mantova, via Cavour 59. Inaugurazione sabato 18 febbraio ore 18:00 presentazione a cura di Massimo Pirotti.

Artista emiliano, Stefano Polastri scopre la sua passione per il disegno e la pittura già in tenera età, frequentando per un breve periodo lo studio del pittore Remo Bavieri.
Prosegue, in seguito, lo studio della pittura da autodidatta, realizzando diverse copie d’autore, passando dagli artisti secenteschi (in particolare Caravaggio) agli impressionisti, per poi iniziare una propria ricerca personale che lo porterà a scoprire anche la scultura.
Nelle sue opere si palesa l’interesse per la natura (che ritroviamo anche nelle sculture, soprattutto per quel che riguarda il materiale adoperato, nella maggior parte dei casi costituito da tronchi d’albero) nonché, una attenzione molto forte, in pittura, alla luce e ai contrasti chiaroscurali. Proprio quest’ultima caratteristica è ben evidente nei paesaggi, dove l’artista mostra sicuramente una conoscenza dell’arte del passato, con riferimenti in particolare ai maestri della pittura veneta o ai pittori romantici, dando prova, altresì, della sua grande sensibilità e della notevole capacità descrittiva, oltre che tecnica, ovviamente.
Nella sua produzione pittorica riscontriamo, d’altro canto, un grandissimo potenziale a livello comunicativo ed emozionale che emerge da tutta una serie di elementi e in special modo dal cromatismo e dai suggestivi effetti di luce dei suoi paesaggi o, altre volte, proprio dai passaggi chiaroscurali e dal realismo presenti nei suoi figurativi.
Sono opere che trasmettono, a mio avviso, una grande spiritualità e che in qualche modo ci portano ad una visione più intimistica dell’arte… proprio perché instaurano un dialogo silenzioso con l’osservatore, un dialogo emozionale attraverso il quale quest’ultimo può ritrovare qualcosa di sé o riflettere su tematiche importanti, come avviene, ad esempio, nella scultura “Umanità cieca”.
In essa, l’artista ha voluto rappresentare la continua corsa ad arricchirsi dell’essere umano, evidenziando quanto questa sia deleteria per il nostro essere e per il mondo che ci circonda. Un messaggio ulteriormente acuito dalla striscia dorata che copre gli occhi della figura, a rappresentare la ricchezza che ci rende ciechi e che non ci permette di comprendere il vuoto cosmico verso il quale ci dirigiamo.
Un artista, dunque, da seguire che ha una sua ben definita cifra stilistica, facendo vivere in simbiosi la sua creatività pittorica e scultorea… un artista che sente l’arte scorrere nelle sue vene, vivendola intensamente e trasmettendo magnificamente il suo mondo interiore perché come diceva Schumann:
Mandare luce dentro le tenebre dei cuori degli uomini. Tale è il dovere dell’artista (Schumann)
Paola D’Antuono nasce a Sassuolo, in provincia di Modena, dove risiede ed opera.
Poliedrica e comunicativa, è da sempre interessata alle diverse forme di espressione della creatività: teatro, pittura, fotografia.
L’incontro con la pittura, avvenuto nel 2003, nasce dal bisogno di contrastare, con l’energia del colore, il freddo panorama del distretto ceramico sassolese.
Colore, quindi, come espressione di vita e possibilità di rifugio in antitesi al grigio disumanizzante della periferia urbana.
Nella tecnica pittorica predilige l’uso della spatola, con la quale mescola colori a olio e pigmenti, sino a formare linee orizzontali e verticali che si incrociano, creando così reticoli materici nei quali si scorgono città che si riflettono su mari tranquilli, tempestosi o paesaggi naturali. I reticoli rappresentano l’insieme di legacci e condizionamenti da cui l’uomo è circondato ogni giorno, anche quando ci illudiamo di essere liberi. Il colore invece, spesso vivace, rappresenta la via di fuga e la cura dell’anima e delle sue tensioni.
Le ultime opere si addentrano maggiormente nella sfera psicologica umana, indagando l’io più intimo e inaccessibile, luogo di contraddizioni, impulsi e passioni che sulla tela diventano un intreccio di forme e colori in continuo movimento, che richiamano l’armonia solo apparente della natura.
“E’ come se i suoi dipinti volessero in qualche modo indicare una profondità che si coglie in un’essenza di pura pittura. Quindi non è astrazione, ma è emozione. E in questo senso la sua attività raggiunge esiti interessanti e preziosi.”
Vittorio Sgarbi, “I Narratori del nostro tempo”. Ea edizioni 2022
Arturo Bosetti. Nasce ad Udine il 28/10/38, risiede a Modena dal ’56. Diplomatosi all’istituto d’arte Venturi di Modena e frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha insegnato “disegno e storia dell’Arte” per 35 anni nelle scuole statali accompagnando l’attività didattica a quella artistica, espositiva, di restauro ecc. La sua attività , ufficiale, ha inizio nel 1961 partecipando a mostre collettive e premi nazionali ed internazionali, con lusinghieri risultati in Italia ed all’estero. Tutt’ora continua la collaborazione artistica ed espositiva con enti culturali, religiosi, sociali, editori, ceramiche ecc.
LUCE E COLORE (LE FORME DELL’IMMAGINAZIONE)
(I COLORI DEL TEMPO) ARTURO BOSETTI
Ogni cosa, intorno a me – cieli, paesaggi, persone, oggetti-, mi affascina.. Tutto ciò che vedo è accomunato dalla luce e dal colore. La luce che si fa colore il colore che si definisce nella luce sono l’essenza della mia esperienza visiva e del mio modo di coglierla.
Chiamo perciò LUCE-COLORE l’elemento fondante della visione; la base di quel comporsi e scomporsi, confluire e defluire, amalgamarsi e fondersi del tessuto cromatico attraverso il quale si configura il nostro vissuto, si definiscono le nostre immagini della realtà e si richiamano le nostre visioni – una volta introiettate -, facendoci rivivere stati d’animo ed emozioni già provate e nuove.
Da queste considerazioni prende spunto la mia ricerca pittorica, con l’obiettivo di creare sulla tela quel cromatismo che, procedendo dalla sua base informale – nessuna definizione o precisazione della forma visiva – sappia sollecitare in chi guarda immagini personali e personali emozioni in un coinvolgimento originale e dinamico dello spettatore.
Si genera così una partecipazione attiva all’opera nel cogliere, fra i molteplici input embrionali suggeriti proprio dalla assenza di una forma codificata e stabilita, quello più congeniale e significativo per ciascuno.