MARIO DALL’ACQUA, “FIGURANTI DELL’ANIMA”: MOSTRA ICONOGRAFICA AL MUSEO POLIRONIANO DI SAN BENEDETTO PO

Con il patrocinio e la collaborazione del Comune di San Benedetto Po e del Liceo artistico Giulio Romano di Mantova, sabato 4 settembre alle ore 17:00, nella sala degli artisti  del Museo Polironiano, verrà inaugurata una importante mostra iconografica del compianto artista ceresarese prof. Mario Dall’Acqua dal titolo “Figuranti dell’anima“.

La prestigiosa sala del Museo accoglierà una significativa produzione di opere dell’artista che, attraverso varie tecniche esecutive, condurranno il visitatore nel mondo poetico ed espressivo di Dall’Acqua fatto di forma e di sostanza, dove il destino dell’uomo passa dal corpo all’anima e dalla Terra al Cielo come afferma nella recensione critica Marcella Luzzara. Senza mai dimenticare le proprie origini contadine, l’artista traduce con le Sue opere quell interiore motivo del “Nostos”,di una Terra-Madre a cui far ritorno, ad un mondo antico da cui non ci si può sradicare ma bensì rifugiare come elemento rassicurante.

Per l’occasione, grazie alla sensibilità della famiglia, verrà presentato un catalogo importante di Opere scelte, appositamente realizzato dal prof. Nazzareno Trufelli del Liceo artistico Giulio Romano di Mantova, accompagnato dalla nota critica di Marcella Luzzara.

La mostra sarà visitabile fino a fine novembre 2021 – nelle fasce orarie di apertura del Museo.

Mario dall’Acqua (Villa Cappella, 1931 – Ceresara, 2017), per forza o per amore (Marcella Luzzara)

Mario Dall’Acqua non avrebbe potuto essere che un artista, tanta è stata l’urgenza della sua vocazione fin dall’infanzia, tanta è stata la caparbietà con cui l’ha perseguita, nonostante l’opposizione della famiglia, di tradizione agricola, col supporto solo di sua madre. E così ha frequentato il Liceo Artistico presso l’Accademia Cignaroli di Verona e a soli 23 anni si è diplomato all’Accademia di Brera, trovando nell’ambiente milanese importanti stimoli, non solo culturali. Rimane testimonianza delle sue prime produzioni: accenni di paesaggio dai tratti liberi e decisi, ritratti di famiglia dove già sperimenta diverse tecniche grafiche, dalla matita, alla china alla sanguigna.

Fra il ricchissimo materiale che l’artista ha lasciato in eredità alla famiglia, lui, schivo, a tratti melanconico, lontano da logiche di mercato, spicca un album che ritrae vari personaggi, in cui Dall’Acqua manifesta una verve da vignettista, rapido nel tratto ed espressivo nella definizione dei tipi umani.

Una cosa è certa: ha fatto arte ogni giorno della sua vita, indefessamente, sempre sostenuto dalla dedizione della moglie Mariarosa, dall’affetto dei figli, Stefano e Paolo, dalla stima di colleghi e studenti. Insegnante per più di trent’anni, tra Verona e Brescia, per poi rientrare proprio a Ceresara. Prima i licei, poi le scuole medie. E dai sessant’anni in poi, solo la sua arte, dimenticandosi dello scorrere delle ore, ma non dei rivolgimenti mondiali né del suo travaglio interiore. Perché Mario Dall’Acqua è stato un uomo di grande sensibilità, di profonda umanità, di estrema dolcezza.

E soprattutto, un grande sperimentatore, quasi febbrile, fino alla fine dei suoi giorni. Disegnatore, pittore e scultore, e anche scrittore di testi teatrali. Presente in numerosi Premi Nazionali di Pittura, invitato a collettive, protagonista di monografiche, anche postume.

Forse perché la sua arte mantiene forma e sostanza, parla di un mondo antico, ma anche del destino dell’uomo, passando dal corpo all’anima, dalla Terra al Cielo.

Quel mondo contadino che si opponeva al suo fare arte, è diventato il protagonista di quasi tutti i suoi dipinti di soggetto figurativo, con una pregnanza impressionante. Le figure di contadini e contadine hanno trovato una loro cifra tipica nel gigantismo e nella possanza fisica, che celebra il loro essere creature nate dalla terra e destinate a farne parte. Hanno mani e piedi grandi e forti, sguardi corrucciati, spalle curve, grandi copricapi. Non appaiono mai da soli, ma sempre coinvolti in attività manuali, forti del loro essere gruppo, anche quando riposano o impugnano i loro attrezzi, come se fossero pronti a rivendicare i loro diritti. Quella che avrebbe potuto essere una pittura a sfondo sociale o di protesta (come nel caso emblematico di Guttuso o dei muralisti messicani, Rivera, Orozco, Siqueiros), assume invece i tratti della trasfigurazione di un mondo, agricolo e tradizionale certo, ma intriso di dignità e sacralità.

Mario Dall’Acqua ha ottenuto questo risultato attraverso la leggerezza delle velature ad acquerello, attraverso il dinamismo delle campiture ad olio. Ciò che conquista è soprattutto la raffinatezza della sua tavolozza, fatta di gialli, azzurri, verdi, rosa, che appaiono diafani se stesi ad acquerello mentre mostrano strepitosi accordi cromatici se applicati ad olio.

E così pure nei paesaggi l’artista procedeva con due differenti modalità: rapidissimo negli acquerelli, molto più meditato negli oli. Il risultato è parimenti affascinante, sia che si tratti di ambientazioni padane che delle colline moreniche piuttosto che del Garda: pioppeti e fossi, borghi e rocche, ora lette in chiave prospettica ora con avvolgenti vedute aeree, ora dai toni più severi e invernali ora mosse dal vento e coloratissime. Soprattutto quest’ultimo genere di paesaggi, Dall’Acqua lo ha sviluppato in forme sempre più libere e astratte, con esiti antinaturalistici e a tratti espressionisti.

Lungo il percorso, l’artista ha manifestato anche una vena più intimistica e “di genere”, ritraendo la Mantova di una volta, con le sue scene di mercato e i suoi scorci imprescindibili, piuttosto che l’intimità domestica, in cui talora una festosa luce meridiana avvolge e definisce le belle nature morte. La stessa quotidianità, ora giocosa ora dolente ora intrisa di sacralità, la si ritrova nelle figure plasmate con l’argilla, dai colori naturali o rifinite a smalto, a rappresentare l’umanità in tutte le sue accezioni, dal diseredato al contadino all’uomo di fede, a Cristo stesso. Con un’attenzione particolare alla figura materna, donna o Madonna che sia.

Le sue terrecotte oscillano fra due poli: quello appena descritto, apparentemente tradizionale nella scelta dei soggetti sacri (Sacre Famiglie, Vie Crucis, Vie Matris), in realtà affonda le radici nell’illustre tradizione quattrocentesca dei Compianti, prodotti nelle terre emiliane da maestri quali Niccolò dell’Arca e Guido Mazzoni, e si completa nelle figure iconiche di personaggi attuali, uomini di fede o tipi umani, metafore di un’umanità in cammino, che non rinuncia alla speranza. Figure plasmate con sapienza e plasticismo, quasi esasperate nella ricerca di un contatto emotivo con lo spettatore. A queste fanno da contraltare le opere più recenti, terrecotte molto stilizzate, anch’esse al naturale o rifinite a smalto, in cui l’artista ha attuato un processo di scarnificazione che ne amplifica la potenza espressiva. Figure che appaiono come linee dinamiche intrecciate fra loro, abbracciate, avvinghiate, quasi spiriti danteschi, plasmate dai quattro elementi, slanciate verso un’entità divina a cui sembrano chiedere aiuto e risposte.

Questa vorticante danza cosmica ha fatto parlare di “panteismo cattolico”, ma Mario Dall’Acqua non è solo questo: la sua pura linea plastica descrive il dialogo fra pieno e vuoto, metafora di rapporti umani e amorosi, sempre in bilico fra amore e male di vivere.

Ai primordi sta quel bellissimo cavaliere, che nel suo potente dinamismo e nella sua polifonia cromatica esprime la vera natura di un artista come Mario Dall’Acqua, sempre in dialogo con le forze primigenie della materia, col pathos che ogni atto creativo comporta, col dramma inteso, in senso greco, come azione.

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