100 DISEGNI ROSSI PER GABRIELE D’ANNUNZIO. Si tratta di 100 disegni originali eseguiti dell’artista milanese Piero Gauli (1916-2012) facenti parte della collezione privata di Adalberto Sartori di Mantova.
Arianna Sartori titolare dell’omonima Galleria d’Arte mantovana, è stata invitata a Gardone Riviera dal presidente del Vittoriale degli Italiani, Giordano Bruno Guerri, a curare la mostra allestita a Villa Mirabella, un bellissimo fabbricato all’interno del parco del Vittoriale, in occasione del centenario di Fiume (1919-2019). Inaugurazione, sabato 21 settembre ore 17.30.

Arianna Sartori con Stefano Bruno Galli Assessore all’Autonomia e Cultura di Regione Lombardia
Qui il programma in sintesi. Alle ore 10.00 si terrà la tavola rotonda intitolata «È l’immortale rosa», a seguire, l’alzabandiera, la messa a dimora nel roseto della “Rosa di d’Annunzio” e presentazione del progetto “L-ODO-ROSA”, con Sabina Antonini e Beatrice Barni.
Al Laghetto delle Danze verrà fatto il punto sul convegno “Fiume 1919-1920. Un centenario europeo tra identità, memorie e prospettive di ricerca” e presentazione del progetto per l’Anfiteatro con l’assessore alla Cultura e Autonomia della Lombardia, Stefano Bruno Galli.
Gli eventi proseguono a Villa Mirabella con la vernice della mostra 100 disegni rossi di Piero Gauli, curata dalla gallerista Arianna Sartori; allestita fino a dicembre 2019.
I miei scrittori
Pirandello – D’Annunzio e Andreev-Büchner
(testo dal catalogo)
I tempi per la meditazione, compiuti sessantotto anni dell’operare, declinato, a partire dalla scenografia, in pittura, con esperienze nella ceramica, e in architettura, introdotto dalla pertinenza a un d.n.a. comacino, che fin dalla fanciullezza mi si rivela con la foga dello “scarabocchiare”, la gioia, del “pennellare”, mi riportano agli esordi, vissuti nel vicentino, a Rocchette. Qui, mio padre iniziava il suo operare di costruttore indipendente, dopo il tirocinio nei “cantieri” milanesi al rientro dalla grande guerra.
Tra l’altro, si trattava proprio della ricostruzione degli opifici Lanerossi, offesi durante le cruenti battaglie dell’Ortigara, del Cengio, del Pasubio, sull’Altipiano di Asiago, soprastante il serpentino corso dell’Astico, sulle cui sponde s’affacciavano. Poi, nel rapido espandersi imprenditoriale, avviene il trasferimento a Padova, con un seguito di lavori, per quattordici anni, che mi vedono lì, dalla quinta elementare fino all’università, dove, iscritto al biennio propedeutico, della Facoltà di Ingegneria, sono anche attivo, sportivamente e culturalmente, in un clima incentrato, nell’“Umanistica” e nella “Critica”, dalle personalità di Concetto Marchesi, Giuseppe Fiocco, Diego Valeri, Manara Valgimigli, auspicanti il nostro inserimento nel clima europeo. Ciò è promosso anche, dalla frequentazione alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, diretta dai professori Frugoni e Fasiani, due luminari, che, richiamava studenti, oltre che dalle regioni d’Italia, dal Mitteleuropa e persino dal Nord America.
Costoro introdussero, anche alieni incentivi esistenziali e favorirono nuove discipline sportive, da noi accolte con entusiasmo. D’un tratto, però, mi divenne impellente il richiamo all’arte. Abbandonai, la “facoltà” passando ad Architettura a Venezia, inserendomi così, nel mondo degli “spazi” e dei “volumi”, che con “letteratura” mi portarono nell’ambito del teatro, disciplina, pure questa (come architettura) “risultante”: e mi feci scenografo.
Nasceva, così, una bozzettistica e una pittura suggerita dalle pièces, con scene, costumi, luci e anche con schemi dei movimenti, disegnati in pianta, che divennero ragione di “laboratorio”, quando fui incaricato dell’istituzione e direzione del “Centro Studi”.
Questo valse a qualificare il nostro teatro a “sperimentale”, unitamente a quelli già operanti di Roma e Firenze.
Ricordo che, proprio a Firenze, firmai la scena per la pièce di Michelangelo Muraro vincitrice dei Littoriali per il Teatro del 1940. La programmazione, iniziò nel 1938, con due atti unici di Luigi Pirandello: la Giara e il Berretto a sonagli: io mi interessai alla Giara: una saga popolaresca, incentrata sulla Beffa, che offriva, diversificate possibilità di soluzione: inventai una scena polivalente spartita (da un “pilastro”) in due luoghi deputati, l’uno intimizzante; l’altro per il folklore e gli effetti corali della vicenda, che si concluderà in una coloratissima danza avvolgente la giara riparata, dove però s’era imprigionato il maldestro Zi’ Dima Licasi.
Sarà gettata nel dirupo e “gioia e felicità” si tramuteranno drammaticamente nel rammarico disperato per la sua irreparabile perdita.
Il Berretto a Sonagli fu “curato” da Enzo Convalli a me vicino, in quel periodo (lo conobbi da “matricola” alla facoltà d’ingegneria) e che diverrà in seguito regista, (all’E.I.A.R., poi R.A.I.) nella sede di Milano, dove compirà tutta la sua carriera.
Così Pirandello (1867-1936) fu il primo letterato d’interesse al mio operare, personaggio elitario della nostra vicenda culturale; visse la nostra epoca in un crescendo di ridondanza, ma anche d’intraprendenza portando il suo teatro, con una compagnia da lui personalmente diretta, anche al di là dell’Atlantico; sempre più onorato di riconoscimenti, che lo vedono “Accademico d’Italia”, nel 1929, Premio “Nobel” nel 1934 per la “letteratura”, consacrando così la sua grande preparazione costruita in tre Università: a Palermo, a Roma, a Bonn dove si laurea nel 1891, divenendone, l’anno successivo “Lettore d’italiano”. Un siciliano, che il destino porta dalle culture polivalenti passate nella sua isola, a quelle del “Mitteleuropa” in un periodo propositivo di sistemi filosofici e letterature, affiancato da “movimenti spirituali”, dell’uomo per l’uomo, in un tendere (tra melanconia, sofferenza e morte), all’espressionismo.
Dal periodo padovano nasce anche l’interesse per Gabriele D’Annunzio. Fui attratto al suo mondo con l’acquisizione delle “opere”, nei limiti delle giovanili possibilità o dai “desiderata” per i regali natalizi, dalle belle versioni tipografiche proposte dalle edizioni del sodalizio “L’Oleandro” a cura della Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” tra gli anni ’30 e ’40: quelli in brossura, ricoperti da un bel lucido avorio salvaguardato dal trasparente cellophan; i cartonati in bicolore con costa e banda pure in color avorio, contrastato da un temperato rosso di venezia. Ne raccolsi una ventina (sui settanta titoli del corpus), che ancora oggi è in aumento editoriale con le opere “postume”. E, proprio nel ’40, il concorso dei Littoriali dell’arte, per la sezione “Bianco e nero” proponeva un tema dannunziano, tratto dalle Laudi del volume Merope (il IV Libro delle “Gesta di terra, di mare, di cielo e degli eroi”) composto dalle canzoni celebranti le vicende d’Africa, in occasione della Campagna di Libia, edito nel 1911-12.
Avevo tra i miei il volume e subito m’immersi per giorni e giorni nella lettura acquisendo spirito e atmosfere nella liricità delle “canzoni”, lontane dalla popolarità dei climi edonistici soffuse come erano di suggerimenti niciani sorti nell’ambito dell’attrazione, per la “filosofia del superuomo”, che s’andava rapidamente affermando in Europa e anche da lui recepita. Dieci sono i titoli e, lette, rilette, meditate optai per “La Canzone dell’ Oltremare”:
Infiniti lauri gettati sotto i tuoi piedi
o vittoria senza ali. È giunta l’ora
tu sorridi alla terra che tu predi.
Poi da quella del “Sangue”:
In Cristo Re, o Genova, t’invoco,
avvampi, odo il tuo citraco nel caldo
vento, gridanti che tu guardi il Fuoco.
Concludendo con, il maestoso,
Introibo ad altare Dei. T’invoco.
Vengo nella scelta suggestionato, anche dagli assunti per la sacralità, e la vivacità, coloratissima, della scrittura e nell’universalità dell’ispirazione in antitesi di quelle, dalle dediche personalizzate. Risultai vincitore, ai Prelittoriali, nella rassegna tenutasi negli spazi espositivi di Palazzo Cardellini di Vicenza.
In questo contesto, Neri Pozza scultore e critico d’arte (poi sarà editore), commentando su “Vedetta Fascista” (5 marzo 1941), che traggo da un ritaglio della mia bibliografia di allora dice: “…alle eccitate composizioni pittoriche di Gauli, preferiamo la sua opera di disegnatore primitivo e violento. Nella grafia, la sua istintiva prepotenza è contenuta entro i limiti, di uno stile già ravvisabile attraverso la sistemazione delle luci e dei movimenti. Un controllo più meditato della fantasia, lo porterà sicuramente a conquiste di lirica che, almeno al momento, gli vediamo nella pittura in uno stato di calore bramoso di conoscere un periodo di distensione non ancora vissuto”. Questo della figurazione, comunque, sarà sempre un contesto “critico” a partire, dai primordi della vicenda umana, quando i cavernicoli, ancora allo stato animale, “graffivano” le pareti rocciose dei rifugi, con sicurezza e assolutezza “Tauromachie” celebranti le drammatiche vicende esistenziali della loro sopravvivenza. Per quanto viene riferito dei miei “primordi”, direi che quella “condizione” sottolineata da Neri Pozza favorì la pertinenza in “Corrente” sottolineata poi nel contingente anche dalla critica (Eugenio Caramel, Enrico Crispolti, Elena Pontiggia), che ne hanno isolata l’autenticità e coerenza nordica consona all’espressionismo. In tempi recenti ho ripensato a D’Annunzio enfant prodige, che sedicenne al “Cicognini” di Prato esordiva nella poesia d’ispirazione carducciana con “Novo vere” ma che ben presto, nel periodo romano, testimoniando le frequentazioni della mondanità: tra gioco e intrecci amorosi, scandali, duelli, esordirà con quella temperie letteraria, nella stagione “fisico-edonistica” ispiratrice del clima del “Piacere” tanto gradita dal mondo piccolo borghese, nazionalisticamente compiaciuto anche dai Suoi intermezzi patriottici, non meramente esibizionistici ma confortati anche da generose (e rischiose) ideazioni.
Dopo tanti anni ne volli riscattare il ricordo, lo sentivo doveroso come artista e come uomo, tra l’altro combattente. Ripresi così, dallo scaffale, i suoi libri li scorsi e ripassai rileggendo anche la sua “Voce”, sui dizionari e incominciai a lavorare; nascono così, centotrentasei disegni, alla biro (alcuni ritoccati) illustranti ed interpretanti la biografia, la poesia, la letteratura, le sue tragedie, le sue donne: Eleonora Duse, la Rudinì, Barbarella, la Bàccara e le gesta: Il discorso di Quarto, le missioni aeree su Trento, Trieste, Cattaro; le beffe di Vienna e Buccari, ribadite nella “Pace mutilata” che con rivendicazione guerriera, alla testa di volontari, il cappello alpino in testa, gli fa conquistare Fiume, e la ridarà all’Italia.
E ai disegni seguiranno centonove tempere cm. 70×50 che testimonieranno il mio ‘colore’, un olio su tela cm. 100×120 che lo prospettano nel Sacrario del Vittoriale in una “lunghissima lettura” e ancora sottolineerò il suo “Fuoco” con questi cento disegni in “rosso” che mimetizzano il suo ardore.
La condizione più pertinente al mio mondo espressionista avviene però per un incontro con Paolo Grassi in via Rovello nell’ambito del “Piccolo”. Siamo nel 1946 ed egli mi vorrebbe riportare ancora al teatro. Mi parlò di Leonid Nikolaievic Andreew (1871-1919), mi mostrò un raro volume, che lessi d’un fiato, edito da Sonzogno nel ’30, testo raro, tradotto dal tedesco nel 1908; si trattava di “Re Fame”, il dramma della vita sociale che spazia in un presumibile arco di tempo, a partire dallo schiavismo e che si conclude agli inizi del comunismo. Un assunto filosofico personalizzato nell’autore tra filologia ed economia che coinvolge tragicamente, gli indifesi, oppressi ed esclusi dalla “macchina”, in tendenza profetizzante l’epilogo del bolscevismo. Il dramma è incentrato sui simboli: il Tempo, la Fame, la Morte, che si disputano con rivalità la conquista del destino dell’uomo; ma, a loro volta, sottostanno al “Potere Supremo” e ne subiscono il dominio che tradurrò, più tardi, ottenebrando l’oggettività al limite dell’astrazione in un clima afroso, polimaterico, con le accidentalità date dall’operare. Nascono gli “appunti” dell’ideazione e quant’altro fosse attinente al progetto ribadendo le maniere con cui già avevamo operato con lo “Spettacolo d’Arte” al Teatro della Triennale al Parco il 25-26 giugno 1941. Si trattava allora de “L’Ultima Stazione” di Benjamino Joppolo; il “Dialogo di uno spazzino e la luna” di Ernesto Treccani (ai tempi esclusivamente Poeta e Scrittore), seguiti da un concerto di musiche modernissime di Alfredo Casella, Goffredo Petrassi, Riccardo Malipiero junior, Bela Bartok, Paul Hindemith, Arturo Honneger, concluso da Jgor Strawinsky, tutti i brani suonati a memoria dalla pianista Enrica Cavallo. Si trattava anche dell’ultimo dei programmi di “Palcoscenico”, un “gruppo” fondato e diretto da Paolo Grassi: con un ciclo teatrale di sei programmazioni di prosa e una di “euritmia”, con “proposte anticonformiste” e in violenta polemica con una critica ufficiale, che definivamo, in “malafede, non disposta all’intelligenza poetica di un Yeats, di un Meano, di un Juwreinov, di un Cechov” tale da indurci a una ufficiale invettiva contro tutta una massa d’insensibili e di “dormienti” che non avverte il significato della nostra civiltà.
Questo ultimo spettacolo nella polivalenza programmatica ne è la resa d’assieme, la prova concreta, risultante da una associazione interpretativa eterogenea di attori, pittori, scrittori, autori, esecutori musicali, registi e scenografi, come in una simbolica sintesi della compartecipazione, nella reciprocità della stima e della amicizia nel nome dell’arte fatta d’indipendenza e costruita dal nostro lavoro.
Ritornando a “Re Fame” molteplici, complicanze specie per le scene di massa ci inducono alla rinuncia.
Nel 1979 in una contingenza della sofferenza famigliare avuta con la perdita paterna, incentiva quel clima tragico pertinente alla spiritualità espressionista.
Riprendo così “studi e bozzetti” già redatti per il “dramma” immaginandone gli sviluppi: le scene, i personaggi, i costumi, e tutto quanto avevo raccolto in copiosi appunti e mi accingo alla traduzione pittorica dell’assunto che condurrò realizzando trenta tele, che con quelle di “Soldato Woyzeck” di Georg Büchner, (autore di irriducibile temperamento rivoluzionario) dedito a ribadire l’oltranza dei diritti dell’uomo in clandestinità agitante problemi politici incitanti la rivolta. Poi si libererà, ma il tifo lo ucciderà a soli ventiquattro anni. Tutte queste opere saranno, unitamente ad una antologica di “Corrente”, mostrate in “Personale” al Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, nel 1985.
Nello scorso anno il Comune di Ramponio ha voluto dedicarmi, negli ex-ambienti della sede comunale e scolastica di Verna, sovrastante il porticato del fontanile, abbeveratoio e lavanderia (da sempre luogo deputato della vivacità dei contrasti e delle discussioni nelle diatribe paesane), gli spazi per un Museo a ricordo del mio operare, prodotto per lo più nel mio studio, proprio prospiciente con la casa nativa paterna che solitamente ogni anno abito nei tre mesi estivi.
E proprio in questa sede saranno stabilmente impaginati il ciclo di “Re Fame”, gli studi per “La vita dell’uomo”, pure di Andreew “Il Soldato Woyzeck” e i Disegni eseguiti a lapis copiativo verde nel campo di concentramento di Cestokowa, nel 1943, che esemplificheranno la stagione tragica della nostra vicenda umana sofferta durante l’ultima guerra. (Piero Gauli)
Piero Gauli (Milano il 6 giugno 1916- Milano 4 gennaio 2012). Inizia gli studi di Ingegneria, presso l’Università di Padova, passa quindi ad ‘Architettura’ a Venezia. Dal 1937 progetta ed esegue scene per Teatri Sperimentali Universitari; le pièces vanno da Pirandello a Pavolini, da Pergolesi a Plauto, dai Noo giapponesi a L. N. Andreev, quindi nel 1941, per il Gruppo Palcoscenico di Milano, la scena de “L’ultima stazione” di Benjamino Joppolo con la regia di Paolo Grassi, rappresentata al Teatro del Palazzo dell’Arte il 25 e 26 giugno 1940 unitamente ad un concerto di “Musiche moderne” eseguite a memoria dalla pianista Enrica Cavallo. È del 1938 l’esordio ufficiale in pittura, con la 1a Mostra Universitaria Triveneta a Padova nelle Sale superiori dello storico Caffè Pedrocchi, nel dicembre, e ampiamente recensita sul “Corriere della Sera” da Guido Piovene, con citazioni subito qualificanti l’opera di Gauli. Nel 1939, ai Prelittoriali Triveneti di Rovigo, ottiene il I° Premio per il “Bianco e Nero”, ribadito nel 1940, sul tema dannunziano da “Le canzoni delle gesta d’oltremare” tratte da ‘Merope’ a Vicenza. In quell’anno, la famiglia, si trasferisce a Milano. Entra a far parte di “Corrente” ed espone, nel 1941, nella “Collettiva” finale del Movimento con: Badodi, Birolli, Broggini, Cassinari, Cherchi, Fontana, Lanaro, Migneco, Paganin, Sassu e Valenti. Dopo la “guerra”, che lo porta, tra l’altro, come ufficiale del 3° Reggimento artiglieria alpina Julia, sul Fronte Russo, dove viene decorato con Medaglia di Bronzo al Valore militare, si dedica alla ceramica d’arte monotipica e del rinnovamento artistico e artigianale, operando in Umbria invitato dal padre del commilitone Erardo Sculati concessionario dell’impresa, vivendo ad Acquasparta dal novembre 1948 al 1951, passando poi a Roma. Nel 1953 si sposa, a Terni, con Ersilia Piscini. Lavora nella capitale proseguendo l’esperienza della ceramica in funzione decorativa e dell’arredamento progettando anche architetture degli interni, e proponendo manufatti di “camini”, “consolles”, “lampadari”, “piedistalli” e “pavimenti”. Frattanto nel 1947 allestisce a Milano, alla Galleria del Naviglio, invitato da Carlo Cardazzo, dopo molte avversità, la sua prima mostra personale di pittura a cui ne seguiranno frequenti, ancora a Milano, nelle Gallerie, dall’“Annunciata” a quella del “Disegno”, dalla “San Babila” alla “Vinciana” e nelle principali città italiane. A tutt’oggi centoquaranta. Partecipa a numerose collettive a carattere nazionale ed internazionale, alla XXVI Biennale d’Arte di Venezia del 1948, alla Va ed alla VIa Quadriennale Romana pure del ’48 e del ’52; alla Mostra d’Arte Italiana, al “Centre d’Art Italien” di Parigi anche del ’52; nel 1959 all’“Italian Exchange Exhibition”, con undici artisti italiani e undici americani alla “Nordness Gallery” di New York, pure nel ’59; alla Mostra del “Rinnovamento dell’Arte Italiana, dal 1930 al 1945”, a Ferrara nel 1960; a quella “32 pittori italiani a Monaco di Baviera” del ’64; alla Mostra “Generazione degli anni dieci” a Rieti del 1982; quindi a quella di “Corrente” al Palazzo Reale di Milano dell’85. Dal 1969 opera in “Omaggi”, alle “Architetture”, al “Costume”, ai “Personaggi”, al “Paesaggio” con ampi cicli pittorici che dedica, via, via: alla “Battaglia di Legnano”, al “Paesaggio di Montecatini”, ai “Mercati di Palermo”, alle “Chiese, alle Cattedrali e ai Paesi delle Puglie”, alla “Sicilia”, a “Verona”, a “Piacenza”, alle “Chiese rosse di Milano”, alla “Civiltà e cultura dell’Umbria”, in dimensione manifesto, alla “Letteratura e al Teatro di Pirandello”, come pure “All’opera diversificata di D’Annunzio”, a “Re Fame” di L. N. Andreev, e al “Soldato Wojzeck” di Georg Büchner, ambedue esposti nel 1985 al “Palazzo dei Diamanti” di Ferrara e che vengono a costituire il “corpus” espositivo del Museo, che il Comune di Ramponio-Verna gli ha dedicato. Nel 1982 esegue due affreschi: “Allegoria della vita” e “Caduta di Icaro nelle braccia di Pulcinella” sulle pareti dell’Auditorium della Scuola media Don Milani di Seregno, nell’83 “I due Papi” e la “Natività in Brianza”, pure ad affresco nella casa natale di Papa Pio XI a Desio; tre storie dedicate a San Giuseppe, nell’omonima Chiesa a Vailate nel 1987. Dello stesso anno sono gli affreschi: la “Deposizione” e la “Sepoltura” nella Cappella parrocchiale del Cimitero di Verna. Pure a Verna nel porticato del lavatoio nella parete più profonda, affresca un luminoso omaggio “Alla mia splendida valle” nell’ottobre 2001. Ancora del 1987 è la realizzazione architettonica della Cappella Baldan al Cimitero Monumentale di Milano, un’opera prospettata in metallo e marmo, corredata da un “Cristo morente tra gli Angeli” dipinto ad olio su alluminio. Negli anni ’60, sempre a Verna, progetta e costruisce la casa Pavan, con una cappellina dedicata a Sant’Antonio, e il restauro di una casa storica nel medesimo contesto. Nel 1988 riceve l’incarico dal Comune di Terni per la progettazione del “Monumento ai Caduti di tutte le guerre” da situarsi nel Cimitero Comunale. L’opera non è stata eseguita. Nel 1998 il Comune di Padova gli dedica una mostra con esposte duecento opere e con quaranta teche di documenti a testimonianza del suo rapporto culturale dei periodi di “Padova”, di “Venezia” e di “Corrente” titolata “Piero Gauli. Ritorno a Padova” con lavori dal 1935 al 1998. Nel duemila, la Galleria d’Arte Eliseo di Roma propone dipinti dedicati all’Anno Giubilare: “Gauli: Roma, Ricordo e ritorno”. Nel novembre 2001 è in Umbria a Dunarobba, che lo vide ceramista, dal 1948 al 1952 per una rievocazione culturale: “Gauli con le mani nell’argilla dei sequoia” (conservati proprio dall’argilla dell’antico lago Tiberino). Nel 2002 invitato dal Centro internazionale di studi e documentazione Pio XI firma l’omaggio al Cardinale un ciclo pittorico incentrato sul ritratto di Sua Eminenza Dionigi Tettamanzi (un olio su tela cm. 250 x 200), per il Museo della Casa natale Pio XI di Desio. Vive e lavora in vari periodi dell’anno a Toricella di Spoleto, Milano, e Verna d’Intelvi.
GB
(L’immagine del disegno rosso qui riprodotto è stata fornita ad esclusivo utilizzo dell’articolo)